Un nuovo disco Stradivarius, con i flauti di Fabbriciani insieme all’elettronica di Alvise Vidolin (Fabio Zannoni).
L’uscita recente, per l’etichetta Stradivarius, di un cd, intitolato Alluvione, di Roberto Fabbriciani testimonia un nuovo momento del passaggio dall’interpretazione alla composizione da parte del flautista aretino; anche se in realtà in questa registrazione, di musiche per flauti ed elettronica, Fabbriciani si presenta nella doppia veste di interprete e di compositore, supportato dai suoni elettronici di Alvise Vidolin.
La parabola artistica di Fabbriciani, già allievo di Gazzelloni, lo vede giovanissimo, fin dagli anni Settanta, iniziare ad entrare in contatto con il gotha del mondo della composizione contemporanea, tra gli altri con musicisti come Bruno Maderna, Salvatore Sciarrino, Brian Ferneyhough, dedicatario di numerose composizioni; con Luigi Nono, aveva anche avviato una collaborazione di ricerca presso lo studio sperimentale della SWF a Freiburg. Ed una sua personale ricerca lo condusse, nel ’76, ad inventare uno strumento come il flauto iperbasso: un flauto di dimensioni ciclopiche che arriva a produrre vibrazioni un’ottava sotto di quella più bassa del pianoforte, con suoni al limite della percezione uditiva.
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Questo ricco bagaglio di esperienze che lo ha visto, per tutta la sua carriera artistica, protagonista della letteratura flautistica contemporanea, costituisce probabilmente il retroterra e il punto di partenza della ricerca linguistica e timbrica di cui questo Alluvione si sostanzia.
Il titolo della raccolta e dei singoli brani inducono ad individuare un percorso programmatico e descrittivo, finanche biografico, dove è l’elemento acquatico a determinare la chiave di lettura di una personale di narrazione sonora dell’autore: “Alluvione”, “Abyss II”, “Corrente”, “Suono sommerso”, “Dal profondo”, “Deflusso”, “Fantasy Falls”.
Parallelamente all’itinerario “acquatico” e biografico – con rimando all’alluvione di Firenze del 1966 – ci troviamo di fronte a una ricerca linguistica ed espressiva che si muove su diversi binari, dove tuttavia prevale quello di una ricerca timbrica che mira a integrare e quasi a mimetizzare le sonorità dei diversi flauti impiegati – quello tradizionale in do, il contralto, il contrabbasso e l’iperbasso – con i suoni elettronici di Vidolin.
È forse solo nel brano di apertura della raccolta, Fantasioso sognante, che il suono e i disegni del flauto in do si evolvono in un rapporto di alterità con un’elettronica; un’elettronica che accompagna, come un gamelan, la folle corsa di un discorso che si dipana, serratissimo, tra il toccatistico e il sognante, con gli scatti di un ritmo che tocca tutte le corde, un ritmo che a tratti assume anche un sapore rockeggiante.
Con “Alluvione” si apre quindi un percorso di brani che potremmo definire “meditativi”, densi di ricerca sonoriale, dove la vibrazione pura dell’iperbasso tende a uniformarsi quasi totalmente con il suono elettronico. La costruzione di un continuum frammentato da incursioni repentine di clangori elettronici, rumori bianchi, su cui di tanto in tento emergono allusioni meliche, lontani campi armonici – molto usato e altamente espressivo il suono del flauto contralto – sono quindi la cifra stilistica di brani come “Suono sommerso” e i due “Dal profondo” e “Deflusso”. Mentre in un pezzo come “Corrente” è il “virtuosismo” del rumore delle chiavi, di un flauto quasi senza frequenze, a riprendere le atmosfere della ritmica ossessiva del brano di apertura.
Quasi a spezzare il clima meditativo, di discesa, verso le radici del sonoro, dei brani precedenti c’è l’onirica chiusura della raccolta, “Fantasy Falls”: qui echi lontani, reminiscenze di musiche infantili, come di filastrocche o di musiche di giostre, risuonano ossessive, come immagini deformate e deformanti delle sonorità di un iperbasso, con un attacco di suono estremamente graffiante, che si fonde nei rutilanti disegni del nastro magnetico e del live electronics di Vidolin.
Sicuramente si tratta di un lavoro con un respiro denso di intermittenze espressive e sonore di grande ricchezza, un lavoro coraggioso, senza concessioni a evasioni o a elementi di autocompiacimento sonoro, graffiante e sognante, con cui Roberto Fabbriciani conduce il suo strumento verso un’esplorazione profonda del suono naturale, del suono puro, quindi del suo frantumarsi, disfacendosi verso le varie gamme di armonici, dei suoni doppi, o anche verso il rumore dei tappi, dell’aria, del soffio, mescolandosi, interagendo e dialogando abilmente, in una serrata dialettica, con le sonorità artificiali di nastri magnetici e del live electronics.